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Visualizzazione dei post da maggio, 2020
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Il rosso piace solo se è sulle nostre labbra carnose Lo stigma che abbiamo creato sul ciclo mestruale è molto arduo da distruggere ed è ancora più arduo parlarne, perché semplicemente tutti, indistintamente, ti guardano come se stessi parlando di qualcosa che è strettamente segreto. Il fatto che sia uno stigma credo sia un'oggettività: se pensiamo alla politica, a ciò che si insegna a scuola, le misure e i provvedimenti che si possono o non possono prendere in ambito sociale. Il ciclo mestruale è un vero e proprio tabù, tanto è vero che quando ne sentiamo parlare il nostro viso diventa paonazzo e e ci sentiamo subito fuori luogo, eppure è tra le cose più naturali che esistono al mondo.  La nostra vergogna deriva dalla concezione per cui il ciclo sia sintomo di inferiorità, di malattia e non di funzionamento del nostro organismo: il ciclo è infausto, cattivo, nocivo ed è qualcosa che appartiene alle donne soltanto per tanto devono occuparsene loro.  Ancor
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#unabiografiatuttapersè Quando ho deciso di smettere di parlare di libri ho subito pensato: "Sì ma non voglio smettere, voglio cambiare", ed è esattamente così che la mia mente è volata sulle biografie. Ho notato che so poco degli autori che leggo, della loro esistenza e del loro pensiero, quando invece è gran parte del lavoro dei loro libri. E così inauguriamo oggi la rubrica, iniziando da Virginia Woolf. Non ho intenzione di scrivervi chissà quale nota biografica banale, ma collocarla nel tempo sì... una mia insegnante mi ha fatto capire quanto siano importanti le date per comprendere i pensieri e le idee che le persone hanno. Virginia nasce centotrentasei anni fa a Londra: scrittrice, critica letteraria e saggista, editrice e donna che influenzò enormemente la letteratura del ‘900 con la sua arte visionaria. Credo che l'epoca Vittoriana non appartenesse alla Woolf, proprio per le sue idee indipendenti: non parlo solo di suffragio universale, ma
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"La Repubblica riconosce  a tutti i cittadini il diritto al lavoro" L'articolo 4 della Costituzione enuncia proprio questo diritto, che non è solo un diritto ma anche un dovere verso la solidarietà sociale ed economica del progresso verso il nostro Paese. Eppure, ad oggi, il lavoro è diventata la perfetta metafora di una gabbia da cui è impossibile evadere: da cui prendiamo tutta l'insoddisfazione e la frustrazione che caratterizza l'uomo capitalista. Sì, perché l'idea di questo "superlavoro" ci è stata indotta dalla società e dall'economia capitalista. L'esempio più lampante è il Giappone, dove la rivoluzione industriale si è imposta con una grande rapidità e, a distanza di 150 anni, la media lavorativa è di circa 12 ore al giorno senza tenere conto dei vari straordinari e per quanto riguarda le vacanze dovrebbero arrivare a 15 giorni, ma nella realtà i giorni a malapena arrivano ad essere 7 l'anno. Il problema