Il caporalato moderno

Quando ho sentito parlare per la prima volta di caporalato ero al terzo anno di liceo, la prima volta in vita mia, tra l'altro, in cui ho sentito parlare anche di sociologia. Inizialmente ci capivo poco e forse non m'interessava neppure, poi ho iniziato a capire che in realtà avevo più passione verso la sociologia che verso la psicologia, insomma è stato un duro lavoro ma alla fine mi sono convertita, dai.

A parte gli scherzi, le parole "caporale" e "caporalato" mi suonavano poco e niente, non le avevo mai sentite, soprattutto nel momento in cui venivano associate ai concetti di lavoro, povertà e immigrazione. Nel dubbio sono andata semplicemente a guardare su wikipedia:

  • Caporalato: Sistema di reclutamento della manodopera attuato nel meridione ad opera dei caporali.
La Polizia di Stato in prima linea nella lotta al “caporalato ...

Sarò estremamente sincera con voi: dopo quella piccola ed effimera ricerca il mio interesse nel comprendere questo mondo non si è moltiplicato, neanche diminuito, ho solo assimilato quel concetto. Fine della storia.
E voi direte, okay, quindi perché ci stai parlando del caporalato se non ti interessa?
Perché poi invece ho sviluppato un sempre più progressivo interesse a comprendere. Comprendere che lo sfruttamento non è qualcosa di antico, ma qualcosa di molto vicino a noi e forse noi non ce ne accorgiamo, o ci va bene così, perché stare al caldo, comodi, in casa nostra ci fa stare contemporaneamente in pace con il mondo. Ma il mondo non sta mai in pace.

Così, anni dopo, mi sono ritrovata a leggere riviste, articoli, mi sono ritrovata a non riuscire a mangiare alcune pietanze perché presentavano alimenti di cui avevo letto precedentemente. 
Anni dopo, ovvero quest'anno, in questo mese torrido di Luglio, mi sono ritrovata a leggere un libro bellissimo di Alessandro Leogrande: Uomini e caporali. 

Uomini e caporali - Alessandro Leogrande | Libri Mondadori

Partiamo dal principio però, partiamo dal fatto che stiamo parlando di lavoro, qualcuno offre la sua manodopera ed essa viene sfruttata dai capi, o dai kapò. Se leggendo questa parola vi vengono in mente i campi di concentramento nazisti non è un male, perché è proprio a questo che dovete pensare; il giornalista Leogrande ha detto che in alcune intercettazioni telefoniche i kapò si facevano chiamare così appositamente, mica per sbaglio o per chissà quale assurda casualità. 

Il sud è diventato la meta più ambita dagli immigrati, soprattutto nei mesi estivi per raccogliere "l'oro rosso", ovvero i pomodori. La raccolta dei pomodori è un lavoro molto arduo già di per sé, ma quando sei in condizioni igieniche, sanitarie e psicologiche di completa degradazione è ancora peggio. Il caporalato è, a tutti gli effetti, il nuovo tumore sociale dell'agricoltura. 
Esattamente come avviene in una ricerca scientifica, il tumore è stato scoperto non molto tempo fa, nel 2005, grazie a tre ragazzi polacchi: a differenza di molti altri loro connazionali avevano deciso di intraprendere il viaggio in Italia solo nei mesi estivi, per poi tornare in Polonia e continuare i loro studi. I tre ragazzi sono Arkadiusz, Wojcech  e Bartosz, che prendendo coraggio hanno deciso di denunciare ciò che hanno subito per circa una settimana: soprusi, umiliazioni, ma soprattutto i pagamenti non sono mai avvenuti. Ciò che avevano guadagnato in quattro giornate lavorative grazie al riempimento di 40 casse, era come svanito. "Il cane, ovvero il caporale, ha urlato loro che il guadagno non sarebbe bastato neppure a pagare l'affitto delle tende in cui dormono. Probabilmente i tre ragazzi si sono resi conto della situazione in cui erano e, fortunatamente, ne hanno preso coscienza subito. Sono letteralmente scappati dalle tende in piena notte e sono riusciti ad arrivare a Bari, dove è presente il consolato polacco.

Questo è un vero e proprio atto storico, oltre che sociale, oltre che politico: perché a partire da quel 10 agosto del 2005 si è scoperta una falla nel sistema. Un'enorme falla.  
La falla dire il vero ha delle radici così lontane che bisogna andare al "biennio rosso" italiano, il periodo pre-fascista, e poi naturalmente anche durante il periodo del totalitarismo italiano. E' come se il legame tra il passato e il presente non fosse stato mai del tutto superato, un po' perché non ci siamo mai assunti le nostre responsabilità e, un po', perché l'agricoltura è cambiata ma noi non siamo cambiati con lei, o meglio di noi è cambiato solo il modo di guadagnare e come far prosperare al meglio l'economia individuale.

Dopo la seconda guerra mondiale gli strumenti per lavorare i campi si sono notevolmente evoluti, infatti, la mia domanda iniziale era, banalmente: "Ma se esistono le macchine, per quale motivo sfruttano degli esseri umani?" perché l'essere umano puoi non pagarlo. Il polacco, il rumeno, lo slavo, il somalo, puoi anche dire loro che gli darai una paga di circa 3,50 euro a cassone, ma poi non glieli dai. I macchinari sì, i macchinari li devi acquistare.

IL CAPORALATO AGRICOLO |


Da piccola andavo pazza per la salsa, ed anche farla mi piaceva da morire: mia nonna paterna è pugliese e il mio palato, oramai, si è abituato a quei gusti specifici. A quell'odore che ha sempre caratterizzato la casa di nonna durante il periodo di inizio settembre, quando appunto facevamo (e facciamo) la salsa.
Esattamente come questo ricordo, ho nitidi i ricordi dei campi che ogni estate oltrepassavo in Puglia per recarmi nella mia bella Sicilia, dove, anche lì, una scesi dal traghetto, percorrevamo delle immense distese di terreni (anche abbandonati). 

I racconti di Alessandro Leogrande sono soprattutto avvenuti in Puglia, ma non è che la Puglia sia da sola e, soprattutto, non è che la Puglia abbia dei caporali più cattivi. La puglia è l'iceberg, ma sotto, nell'oceano, dove l'iceberg si vede meno, ci sono tutta una serie di amici del caporalato e dei caporali. Altri caporali, ed altri sfruttatori e la mafia. 
C'è una bellissima descrizione del dialogo avvenuto tra Leogrande e Domenico Centroneconsole onorario della Polonia per la regione Puglia: quest'ultimo presenta anche gli abitanti vicini ai campi come aiutanti dei caporali, no perché effettivamente gli avessero portato altri uomini o altri terreni. Ma per il silenzio che hanno perpetuato.


Banksy: Street artist credited with fringe Venice Biennale artwork ...
An alleged Banksy work depicts a migrant child wearing a lifejacket holding a pink flare. It is painted on the wall of a house overlooking the Rio de Ca Foscari canal in Venice

Ecco, vorrei fare un accenno ad un concetto a cui tengo moltissimo e, a cui mi sono avvicinata moltissimo tempo fa: la denuncia sociale. 
E' importante non stare in silenzio, è importante che quando si vede qualcosa che non va, lo si faccia presente. E i campi pieni, stracolmi di migranti, erano visibili a tutti.
Non possiamo distogliere lo sguardo perché qualcosa non ci piace, o perché non vogliamo immischiarci in una situazione che sentiamo essere lontana da noi.

Perché non è poi così lontana se quei pomodori finiscono sulle nostre tavole perfettamente imbandite. Perfettamente condite con il loro sudore, la loro fatica, il loro orgoglio martoriato, il loro corpo abusato e la loro dignità calpestata. 

Melissa, @jawaadino_24
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